In una comunicazione esistono sempre due livelli:
uno relativo al contenuto, ovvero alle informazioni che il messaggio contiene, e uno all’atteggiamento, vale a dire come comunico nella relazione. I due livelli sono sempre compresenti, essendo impossibile una comunicazione di soli contenuti priva di un “modo di porsi” verso l’interlocutore.
Più precisamente, il contenuto si riferisce all’insieme di informazioni comprese nella comunicazione, e rientrano in questa categoria tutti i dati, le opinioni, i punti di vista, le idee, le proposte.
Mentre l’atteggiamento è il modo con cui una comunicazione viene effettuata e inviata, in altre parole è il “modo di porsi”, prevalentemente non verbale e fa riferimento alla forma che la comunicazione viene ad assumere.
Semplificando potremmo dire che il contenuto è il “che cosa” viene comunicato, mentre l’atteggiamento riguarda il “come” un messaggio viene inviato.
Fatta questa distinzione possiamo chiederci: quanto il “come” ci rivolgiamo nel comunicare può influenzare, positivamente o negativamente, la disponibilità all’ascolto da parte del nostro interlocutore con lo sforzo di comprendere o rifiutare ciò che diciamo?
L’influenza che esercita l’atteggiamento sull’efficacia comunicativa è molto alta e, in molti casi, prevale sul contenuto finendo per determinarne le scelte. Un esempio è il caso in cui un’idea non così convincente è accettata per l’atteggiamento positivo e disponibile di chi la propone, e all’opposto, il caso di un’idea valida respinta per l’atteggiamento arrogante con cui è esposta.
L’atteggiamento è ciò che qualifica il messaggio dal punto di vista relazionale, e per tale motivo siamo sensibili, sia come professionisti, ma prima ancora come persone, al modo in cui le cose ci vengono dette.
Nella “Pragmatica della comunicazione umana”, P. Watzlawick definiva “metacomunicazione”, una “comunicazione sulla comunicazione” che consente a chi ascolta di comprendere i significati relazionali che l’emittente ha inserito nel messaggio. È una comunicazione implicita, che definisce le posizioni relazionali e qualifica la relazione. È come se, chi esprime un contenuto con il suo atteggiamento, ci dicesse contemporaneamente “che cosa pensa di ciò che dice”, “che cosa pensa di noi”, “che cosa pensa della nostra relazione”.
L’atteggiamento definisce le posizioni interpersonali e propone all’interlocutore una relazione che potrà essere accettata o respinta.
Ad esempio, nel contesto familiare quando un genitore si rivolge al figlio adolescente, cercando di dare qualche consiglio su come comportarsi, ma con un atteggiamento di predica, moralistico e “dall’alto verso il basso”, il genitore rimanda al figlio una relazione del tipo, “io so, tu non sai”.
In ambito lavorativo, pensiamo a un responsabile che con modi sgarbati ordina al collaboratore di svolgere un compito, il “metamessaggio” è di superiorità. La relazione che sta cercando di creare è di sudditanza gerarchica, che può portare a varie forme di resistenza nell’accettare o, a rifiutare l’ordine da parte del collaboratore.
È l’atteggiamento che crea relazioni positive o negative, determinando il clima sul posto di lavoro, il clima all’interno della famiglia e nei gruppi di amici. Il fatto di sentirsi o meno considerati dai nostri interlocutori, quanto chi si rivolge a noi ci considera, ci valorizza, ci stima e ci ritiene degni di attenzione, determina differenti reazioni comunicative nelle relazioni interpersonali.